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Chi si dedica agli sport estremi
Di solito chi si dedica al base jumping, al surf estremo o alle scalate in solitaria è un maniaco dell’adrenalina che non teme la morte.
Sport estremi secondo la Queensland
Pare che questo mito sia stato sfatato dai ricercatori australiani dell’università di tecnologia di Queensland (spesso chiamata “QUT” – Queensland University of Technology).
Per questo studio hanno unito le loro menti professori del QUT del calibro di Eric Brymer (attualmente docente presso l’università inglese di Leeds Becket) e Robert Schweitzer, giungendo alla conclusione che gli sport estremi sono semplicemente attività ricreative in cui un errore di giudizio o un incidente può causare decesso.
Pensiero del Professor Brymer
Secondo il Professor Brymer finora si è frainteso il motivo chiave che ha sempre spinto le persone a praticare sport estremi, alimentato da chi le descrive come abilità adatte solo ai “drogati” di adrenalina.
“Le nostre ricerche mostrano che le persone che si dedicano agli sport estremi non sono altro che irresponsabili amanti del rischio che non temono la morte.
Si tratta di individui allenati e con una profonda conoscenza di sé, dell’attività e dell’ambiente dove la si pratica, al fine di avere un’esperienza che possa migliorarli o cambiargli la vita”.
il professor Brymer afferma che esperienze simili sono difficili da descrivere – più o meno come è difficile spiegare o descrivere l’amore.
Ci si sente vivi, e tutti i sensi sembra si acutizzano maggiormente rispetto alla vita di tutti i giorni, come se si oltrepassi la quotidianità fino ad intravedere finalmente il proprio potenziale nascosto.
“Chi pratica base jumping, ad esempio, parla di come sia in grado di vedere e distinguere le varie sfumature di colore o il minimo dettaglio delle pareti rocciose mentre vi sfrecciano dinanzi, a 300km/h; gli scalatori estremi si sentono quasi galleggiare da un sasso all’altro, danzando leggiadramente.
Altri amanti dell’estremo parlano di come il tempo rallenti, o di come ci si senta tutt’uno con la natura.”
Pensiero del Professor Schweitzer
Il professor Schweitzer afferma che capire a fondo le motivazioni che spingono un uomo a praticare sport estremi significa capire a fondo l’indole umana.
“Bisogna allontanarsi dalla semplice ipotesi che chi pratica queste attività lo fa solo perchè amante del rischio; praticare sport del genere aiuta esperienze psicologiche positive ed esprime più facilmente caratteristiche come umiltà, armonia, creatività, spiritualità e un senso vitale di sé che arricchisce la vita di tutti i giorni.” afferma il professor Schweitzer.
Poiché per gli atleti estremi risulta difficile esporre a parole le proprie esperienze al limite, è stato necessario che il progetto di ricerca adottasse un nuovo approccio di valutazione dei dati.
“Piuttosto che adottare un approccio basato sulla teoria, il quale potrebbe non riflettere a dovere le esperienze vissute dagli amanti dell’estremo, abbiamo deciso di adottare un approccio fenomenologico, così da essere sicuri di addentrarci con una mentalità aperta.”
Questo, secondo Schweitzer, ha permesso il team di ricerca di concentrarsi sulle esperienze vissute, avendo come obiettivo unico la spiegazione di temi che sono strettamente inerenti con le esperienze dei partecipanti.
“Tramite questo approccio siamo stati in grado di concettualizzare, per la prima volta, esperienze del genere in quanto imprese rappresentative dell’agire umano, nella scelta di cimentarsi in un’attività che può in alcune circostanze, uccidere.” – aggiunge poi – “Tuttavia, tali esperienze si sono dimostrate essere positive sulla sfera vitale, e pregne di potenziale per cambiamento positivo.”
Il professor Schweitzer sostiene che gli sport estremi abbiano il potenziale di indurre quello che lui definisce “uno stato di coscienza fuori dall’ordinario”, che è tanto potente quanto significativo, aggiunge inoltre “Queste esperienze arricchiscono le vite dei partecipanti, e forniscono un ulteriore introspettiva verso cosa vuol dire essere umano.”
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